Rapporto madre e figlia: tu non “Devi” nulla a tua madre

Grafica tu non devi nulla a tua madre

Nella nostra cultura, le madri sono generalmente idealizzate e/o viene mancato loro di rispetto.

Non c’è posto, per le figlie ed i figli, per esprimere i loro sentimenti autentici e complicati verso le loro madri, senza doverli sopprimere completamente o accettare, in particolare alle donne viene appioppata l’etichetta di “figlia ingrata”. 

Dal punto di vista patriarcale, QUALSIASI esame critico della relazione madre/figlia da parte della figlia equivale ad una “colpa della madre”. Questa falsa equivalenza è stata un modo efficace per disonorare e mettere a tacere i bambini sulla loro vera esperienza di crescita e arrestare la loro piena individuazione nella nostra società. 

Ci sono poche relazioni così complicate come il rapporto con le nostre madri.

Una delle uscite più problematiche e comuni è: “Mia madre mi ha dato la vita, quindi le devo ________”. 

Naturalmente, non c’è nulla di sbagliato, anzi è prezioso coltivare un amore genuino, il rispetto per la propria madre e un sincero apprezzamento per tutto ciò che ha fatto per te. Tuttavia, la sensazione di “dover qualcosa” a tua madre è qualcosa di molto diverso e un’illusione dolorosa che può implicare un prezzo enorme. 

In particolare capita che molte donne che provano queste sensazioni, le usino come una giustificazione per trattenersi da ciò che desiderano, come causa di sensi di colpa o dubbi su di sé, come una ragione per tollerare un trattamento inadeguato o per rimanere bloccate in un posto. 

I bambini non “devono” nulla alle loro madri.  

Di recente ho visto un video su Facebook dedicato alle madri che si sentono stressate, private del sonno e non apprezzate. Alla fine esso recita “Guarda gli occhi di tuo figlio e sappi che sei importante”. Passo dopo passo, nel video viene spiegato come la madre sia importante agli occhi del bambino, sottintendendo che ciò dovrebbe essere sufficiente per far passare ogni stress o dubbio. Il punto nodale del video è che una madre abbia solo bisogno di guardare negli occhi i propri figli, per ottenere un riconoscimento. 

Ho trovato strano che non menzionasse il sostegno di amici, partner o comunità che aiutino le donne in momenti difficili, come quello della maternità. Non ha menzionato la cura di sé. Non ha stimolato le donne a considerarsi intrinsecamente valide e importanti. Semplicemente ha detto alle madri di guardare in un posto per ottenere quel senso di valore e di importanza di cui hanno bisogno.

A prima vista, questo può sembrare un video innocuo, con l’intenzione di onorare il lavoro incessante delle madri. È stato “apprezzato” da migliaia di persone. Io l’ho trovato inquietante per molte ragioni: perpetra nelle madri l’illusione che l’approvazione dei figli sia un risarcimento sufficiente per tutto il loro lavoro brutalmente incessante, ingrato e isolante quale è diventata la maternità nel mondo moderno. 

E, al contempo, prepara il bambino a sopportare il peso emotivo delle lotte di una madre e ad imparare come fungere (in modo esponenziale) da guardiano emotivo. Mette il bambino in condizione di  “dover” a sua madre una versione di sé che protegga la madre dal suo stesso dolore.

Questa sovrastruttura  emotiva è come un veleno che può danneggiare il concetto di sé – in particolare della figlia – l’autostima e la capacità di formare relazioni durature e sane con gli altri. 

Sfortunatamente, una delle manifestazioni più comuni della ferita materna è una relazione codipendente e invischiata con la stessa madre. 

Non ci si dovrebbe aspettare che un bambino/una bambina sia il migliore amico o la migliore amica di sua madre, salvatrice/salvatore, specchio, terapeuta o unica ragione di vita! 

È responsabilità di una madre, di una persona adulta, ottenere il sostegno di cui ha bisogno da altri adulti, tra cui comunità, terapeuti, coniuge, partner, istituzioni, ecc.  

Il benessere di una madre non è responsabilità di un bambino. 

Una madre che si aspetta un lavoro emotivo da suo figlio/sua figlia, lo/la rende in ostaggio del suo dolore. Spesso, se questo schema inizia nell’infanzia, continua fino all’età adulta, causando insicurezza, senso di colpa, rabbia repressa, senso di impotenza e relazioni problematiche.

La nostra cultura, con la sua ostilità nei confronti delle donne – espressa in un bassa qualità assistenziale nell’ambito sessuale e riproduttivo, nel divario salariale, nella mancanza di ampi congedi di maternità, nella violenza maschile contro le donne, così come in altre barriere sistemiche come il razzismo istituzionale – si combinano per isolare la madre e costringere il bambino a portare il peso di convalidare emotivamente sua madre, in assenza di sostegno da parte di partner, adulti, istituzioni e società in generale. 

Questa è una lacuna che un bambino non deve né potrà mai colmare. 

Ai bambini viene chiesto di addossarsi un dovere nato per la mancanza di rispetto e sostegno emotivo riconosciuto alle madri in questa cultura. 

Il dolore delle nostre madri ci viene trasmesso da due fonti principali: 

  1. un  trauma ereditario o un abuso che potrebbe aver sperimentato la sua famiglia d’origine e che potrebbe inconsciamente essere tramandato in qualche modo. 
  2. La ferita culturale della madre; il dolore di essere una donna in questa cultura e il modo in cui quel dolore viene trasmesso attraverso le generazioni. 

Il culmine di molti fattori può far sì che un bambino si senta come se “dovesse”:

  • a sua madre, quella lealtà naturale che tutti i bambini provano nei confronti materni;
  • accettare di vedere la madre soffrire senza sostegno, pur sapendo che sua madre è necessaria per la sua sopravvivenza;
  • sentirsi responsabile del benessere della madre. 

Ricordo una donna che anni fa mi ha detto che nella sua cultura è considerato normale che i genitori sacrifichino tutto per avere i bambini e che poi, una volta cresciuti, i figli diventino responsabili di soddisfare tutti i bisogni e i capricci dei genitori. Non si tratta di amore. E’ un fardello tramandato e nato in un’atmosfera di privazione. 

Un esempio estremo ma non raro di questa dinamica sono le madri che confidano ai loro figli di pensare al suicidio. Sono rimasto scioccata nell’apprendere quanto sia comune, così come ho sentito da decine di donne la descrizione della disperazione della madre come una costante minaccia sullo sfondo della loro infanzia. Mi viene in mente una donna in particolare, che raccontò un episodio in cui stava giocando con sua madre sul pavimento della cucina, poi all’improvviso sua madre, nel gioco, si finse morta. Il momento da giocoso si trasformò in terrificante quando sua madre si rifiutò di “svegliarsi”. Questa “si svegliò” quando lei, bambina, era ormai andata in panico, ma la sua reazione fu quella di fingere che non fosse successo nulla di sbagliato. 

Questa donna ha descritto l’impatto di queste esperienze come un senso di terrore  che compare quando le cose stanno andando bene nella sua vita, come se un momento terrificante potesse portare via tutto. 

Nelle generazioni passate,essere genitori significava fornire cibo, riparo, vestiario e istruzione. I bisogni emotivi non erano considerati importanti quanto i bisogni fisici. Anche dalle istituzioni religiose, ai bambini fu ordinato di rispettare i loro genitori. 

Come oggetti o animali domestici, “i bambini dovevano essere visti e non ascoltati”. 

Problemi come dipendenze, malattie mentali, lotte finanziarie, maltrattamenti non venivano semplicemente discussi: la gente credeva che fingere che tutto ciò non esistesse, fosse sufficiente per tenerle segrete… e così tutto era a posto. 

Stiamo iniziando ora a capire la fallacia di questa impostazione. Questi problemi non “vanno via” quando si finge o si cerca di dimenticare. Sono presenti nelle nostre lotte quotidiane. 

Lo sviluppo naturale di un bambino include crescere e avere una propria vita. 

Durante il mio viaggio come “figlia genitrice” in via di guarigione, ho imparato presto le conseguenza della dolorosa convinzione del “sto privando mia madre di qualcosa, quando mi prendo cura di me stessa”. 

È stato un lungo viaggio per imparare a:

  • occupare uno spazio o accogliere il vuoto senza aspettarsi l’abbandono; 
  • dire un chiaro No alle persone che si aspettano una complicità silenziosa con la mia sottomissione, per quanto sottile;
  • non equiparare più l’empowerment con la solitudine.

Questo lavoro richiede tempo, passo dopo passo, per costruire la fiducia con il bambino interiore e aiutarla/o a imparare un nuovo paradigma in cui si senta sicura/o di essere reale, di avere bisogni, di poter dire No, di avere emozioni, di celebrarsi e sicuro/a di essere visto. Serve a stabilire dei confini, a imparare a prendersi cura di sé stessi e ad accogliere il dolore.

Così molti di noi hanno assistito alla lotta delle nostre madri, mentre si sacrificavano e soffrivano di oppressione. I bambini sono naturalmente fedeli alle loro madri per necessità di sopravvivenza. Ma il vero rispetto non è possibile quando è comandato o basato su obblighi, vergogna o debito emotivo. 

“Dovere” non è sinonimo di rispetto. Semmai si tratta di controllo. 

L’incredibile quantità di amore e di energia fisica ed emotiva che una madre esterna deve avere il dovuto rispetto, timore e un posto sacro nella nostra società. Ma rimarrà sottovalutato e relativamente invisibile fintanto che le madri saranno parte di una dinamica viziosa in cui i loro figli fungono da specchi,  salvatori e da ragione di vita.  

Dobbiamo diventare consapevoli dei modi in cui il patriarcato depriva le madri e di come questa privazione ricada sui bambini. Si tratta di liberare sia le madri che le figlie ed i figli. 

Così tanto è stato concesso dietro la convinzione “Lo devo a mia madre”. 

Abuso emotivo, abuso fisico, negligenza, silenzio doloroso, altri traumi. 

Tanto è stato represso sotto il dolore de “Lo devo a mia madre”. 

Veri desideri, potenziali, sogni, ispirazione, abbondanza, ricchezza e altro, sono stati aggirati e soppressi soprattutto alle donne a cui è stato insegnato che la loro vera espressione di sé, ferisce coloro che amano . 

Tutto ciò che è obbligatorio è forzato e non libero. 

Non si tratta di vera connessione. È una transazione. 

C’è un intero nuovo mondo oltre l’illusione del “dovere”, dove la tua vita è tua e dove i tuoi bisogni e sentimenti sono abbracciati, non sminuiti. 

La tua vita ti appartiene. 

Questa dinamica ha bloccato a lungo il processo di guarigione delle donne e degli uomini individualmente e collettivamente. Guarire la ferita della madre (e non trasmetterla alla generazione successiva) è la massima espressione di maturità e responsabilità personale. 

Articolo a cura di Marika Novaresio

Articolo liberamente ispirato da: Bethany Webster, Womb Of Light.

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