Rottura manuale delle acque: serve davvero?

donna incinta seduta sul letto

Spesso i racconti del parto delle madri narrano di operatori che consigliano la rottura manuale delle acque come opzione estremamente utile e valida per accelerare quei parti ritenuti “eccessivamente” lunghi o inefficaci.

Si tratta di un fenomeno molto diffuso, tant’è che la rottura delle membrane (o amniotomia) è diventata una procedura standard in molti paesi di tutto il mondo. Addirittura, in alcune strutture è eseguita durante ogni travaglio e, in molti centri, ogni qual volta il travaglio venga etichettato come “troppo lungo”.   

La motivazione addotta è per lo più la seguente:  accellerare il travaglio, intensificare le contrazioni e, di conseguenza, accorciare la durata del travaglio. Si ritiene, infatti, che la rottura delle acque determini il rilascio di ormoni e reazioni biochimiche che stimolano le contrazioni, quindi  se questo non avviene da sé, si procede con l’intervento esterno, anche laddove non ci siano reali e effettive motivazioni per farlo.

Ricordiamo, infatti, che nonostante l’amniotomia sia associata a rischi estremamente rari, ma estremamente importanti (quali problematiche relative al cordone ombelicale e alterazione della frequenza cardiaca fetale), essa è pur sempre un intervento di natura esterna, non fisiologico.

In aggiunta, nonostante questa “pacifica” diffusione, le evidenze scientifiche non supportano l’efficacia della routinaria rottura delle membrane alle donne durante un travaglio che procede in modo spontaneo (a prescindere dalla sua durata).

A tal riguardo, la revisione Cochrane ha analizzato e incluso studi sull’uso dell’amniotomia con un campione totale di 5583 donne – purtroppo nessuno di essi ha indagato l’eventuale aumento del dolore in travaglio a seguito della pratica, aspetto, questo, che necessita sicuramente un suo approfondimento.

Queste evidenze scientifiche mostrano come la rottura manuale delle membrane non accorci la durata soprattutto se eseguita durante il primo stadio di travaglio, anzi essa tenda ad aumentare il rischio di cesarei.

Per questa ragione, non è raccomandato introdurre l’amniotomia come una pratica routinaria.

In conclusione, la stessa revisione Cochrane invita a fornire queste informazioni a tutte le donne, al fine di diffondere uno strumento di consapevolezza in più nel processo condiviso di maturazione delle decisioni durante la gravidanza e il parto.

Anche in questo caso, le evidenze scientifiche mostrano la fondatezza di ciò che le donne da sempre sentono e percepiscono.

Questi dati possono essere quindi strumenti utili sia per le donne che per chi si mette al loro fianco per custodire quella Nascita. Sono informazioni fondanti all’interno dell’analisi rischi-benefici del caso specifico, nonché un perno all’interno della raccolta del consenso informato (perché – ricordiamolo – nessun intervento/cura/trattamento può essere eseguito o somministrato senza il consenso della persona e, questo stesso consenso, può essere revocato in qualsivoglia momento).

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Fonte:

Amniotomy for shortening spontaneous labour – The Cochrane Library

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